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Allergie da animali domestici, un problema nel problema

Il tema dell’allergia agli animali domestici è particolarmente complesso sotto vari punti di vista, incluso quello emotivo, soprattutto quando i pazienti sono bambini.

È noto che in tutti i paesi industrializzati le patologie allergiche respiratorie sono in crescente aumento e costituiscono un importante problema sanitario. Tra i numerosi fattori allergenici e non, che ne sono alla base e ne favoriscono lo sviluppo, il contatto con gli animali a pelo e in particolare quelli più comuni come cani e gatti, rappresentano, per così dire, un “problema nel problema”.
L’accresciuta coscienza animalista ha spinto vaste fasce di popolazione (non legate agli animali da motivi lavorativi) a tenere in casa cani, gatti e un numero considerevole di altre specie animali (anche esotiche).
I dati della letteratura ci dicono che se un soggetto nasce in un ambito rurale con scarso inquinamento e a contatto precoce con animali da fattoria, può essere a minore rischio di divenire allergico a causa anche del prevalente stile di vita all’aria aperta. Nelle aree urbane, invece, l’individuo vive in ambienti confinati (casa, ufficio, mezzi di trasporto ecc.) fino al 90% della sua giornata. In tali condizioni, anche la presenza di un singolo cane o gatto rende il contatto uomo-animale più stretto e l’ambiente interno (soprattutto se poco ventilato) completamente contaminato dai loro allergeni. Tali materiali sono comunemente presenti anche negli ambienti senza animali in quanto veicolati all’interno da abiti o altri oggetti. È evidente che, in tali condizioni, l’esposizione e l’inalazione degli allergeni possono essere più intense e prolungate con evidente maggiore rischio nei soggetti con predisposizione allergica.

Queste premesse non vogliono assolutamente significare che i soggetti allergici “non possano avere animali domestici in casa”, ogni caso va valutato attentamente da uno specialista allergologo che potrà stabilire, dopo accurate indagini diagnostiche, se l’animale debba essere allontanato dal paziente o si possa tentare una “convivenza” accettabile con adeguate prescrizioni preventive e terapeutiche. Avere infatti dei test cutanei o sierologici positivi per cani/gatti sta ad indicare che l’organismo ha sviluppato anticorpi IgE nei confronti dei loro allergeni ma non necessariamente che i poveri “quattro zampe” siano i veri e unici responsabili dei sintomi, soprattutto nei soggetti con allergie multiple a pollini, acari e muffe.

La riacutizzazione dei sintomi immediatamente dopo il contatto diretto oppure dopo l’ingresso in un ambiente confinato frequentato da uno o più animali può verosimilmente significare che il paziente non è solo sensibilizzato, ma anche clinicamente reattivo agli allergeni. In tali situazioni la ricollocazione dell’animale può servire a ridurre l’esposizione nel tempo (gli allergeni “sopravvivono” per anni nonostante le pulizie!), almeno nell’ambiente personale del paziente. Ovviamente questa opzione non esclude l’esposizione agli allergeni in altri ambienti pubblici o privati.
È evidente che se il paziente non si vuole staccare dal proprio animale, malgrado il rischio accertato, e nella maggior parte dei casi avviene proprio questo, sarà necessario un più accurato monitoraggio clinico con rigorose misure ambientali per ridurre l’esposizione agli allergeni. Potrebbe essere necessario anche un incremento del numero e/o della posologia dei farmaci anti-allergici/anti-asmatici nel caso che i sintomi respiratori tendano a peggiorare.

Dott. Prof.ac Gennaro Liccardi